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Racconti




RACCONTI

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Un telefono che squilla.

Una mano solleva un ricevitore e qualcuno risponde.

Una voce di uomo.

-Pronto!

-Pronto. Parlo col signor Sergio Ravelli?

-Dica.

-Signor Ravelli...- La voce al telefono ha delle orripilanti inflessioni dialettali...

-Tu sei un uomo morto, signor Ravelli!... Tu sei omo 'e 'mmerda! E pure anche figlio di puttana, sei! Te ti devi crepare come meriti, puzzona cacata di lurida meretrice! Devi crepare, infame che sei! Morirai. Cane randagio infestato di pulci e pure pisciato. Tu: merdoso e infame pezzo 'e 'mmerda! Andrai all'inferno solo e disonorato. Schifoso e putrido e fetente! Farai la fine che ti meriti, infame! Servirai a pranzo e pure da cena e ancora da pranzo per i vermi. Neanche le vergogne ti resteranno! Sei presto morto, infame! E pure le capre ti troveranno. E ti cacheranno sopra.

-Guardi che...

-E una volta finito con te mi dedicherò alla tua famiglia. Li ammazzerò uno per uno, ci caverò la pelle a striscioline. Molto lentamente. A cominciare da...

-Guardi che ha sbagliato numero!!!

-?!...

-E' lei che è un uomo morto!


 

Ermanno Bartoli

 


 

L'UCCISORE

 

 

Un dito che preme il pulsante di un campanello.

Un ffrrrrr soffocato dall'interno di un luogo non visto...

Passi di là dell'uscio...

-Chi è?

Due occhi che non visti scrutano dallo spioncino magico incastonato al centro di una porta fatta di legno massiccio.

-Lettura contatore.

La voce dall'interno dell'uscio risponde con terrificanti inflessioni dialettali che rendono tutt'altro che agevole la comprensione.

-Qui come contatori stiamo tutti belli e che a posto! Perciò vedi di smammare, amico.

-Vuole farmi prendere una sanzione?

Quello di là della porta chiusa esita un istante che pare un secolo, infine si decide ad aprire lasciando infilata nel blocco, per buona misura, la catena di sicurezza. Ed ecco che davanti agli occhi gli appare l'immagine a tutto varco di un giovane distinto, alto più di un metro e ottanta, spalle larghe, e vestito di un giubbotto di un colore tabacco scuro. A completare il quadro ci sono i capelli fluenti e biondi e due occhi di un azzurro intenso. In pratica un tipo d'uomo prestante e piacente, decisamente da  film.

Il tizio della casa, del tipico belloccio da film invece non ha proprio nulla. Scuro e unto di capelli, disordinato in maniera imbarazzante,  decisamente irsuto e sgradevole, grassoccio e un po' sudaticcio, vestito di una consunta (e macchiata di tutto un po') camicia bianca...

Per buona misura tiene stretto in tasca il suo revolver a canna corta marca Smith & Wesson. Ed è pronto ad usarlo se necessario. E' un tipo prudente, quello. Raramente apre. E se lo fa prende sempre le sue brave precauzioni.

-Il signor Capece?

-Dica...

-Il signor Gioacchino Capece?

A quel punto il signor Capece, al secolo Gioacchino, detto "Jaco", ha un cenno di assenso che si ripercuote in un rumoroso fattore di deglutizione forzata.

-Sono l'uomo delle capre, signor Capece. Quello, per intenderci, che le capre ci avrebbero cacato sopra.

C'è come un sobbalzo, quasi impercettibile, dell'uomo dietro la porta. Uno scatto repentino seguito all'istante da un movimento della mano destra che se ne stava raggomitolata in tasca.

Poi uno sbuffo d'aria appena avvertibile.

A seguire una macchia rossiccia, di quelle che nei film vengono realizzate con abbondante impiego di pomodoro o con una più funzionale vernice rossa, prende ad allargarsi nel bianco di una camicia non propriamente linda creando così una mirabile opera naif, oppure “macchiaiola casual,” a seconda dei gusti.

E osservando il corpo che cade al suolo...

-Mi raccomando, signor Jaco, faccia il bravo e non mi deluda!... Mi saluti tanto le sue capre.

Ecco l'uomo scendere le scale, quindi fermarsi per un certo tempo, protetto dall’ombra dell'androne deserto. Eccolo fare una certa cosa alla sua faccia.

Quindi, dopo aver rovesciato il proprio giubbotto variandone il colore da marrone a blu, dopo essersi calcato in testa un berretto di lanetta grigia comparso all'improvviso da chissà dove… Incurvatosi un poco nelle spalle larghe...

Sergio Ravelli varca in uscita il portone di quell'edificio mai frequentato prima e, infilate le mani in tasca si  immerge, zoppicando, nel passaggio confuso della folla.

 

(Agosto - 2017)









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